Il romanzo, del 1932, è in realtà una raccolta di racconti in cui i vari personaggi compaiono più volte, andando a creare una sorta di storia unica fatta di intrecci. I pascoli del cielo non sono nient’altro che una vallata della California centrale in cui, a quanto si capisce, ogni persona sana di mente desidererebbe vivere. Una sorta di paradiso terrestre. Steinbeck narra le vicende di chi, per più o meno tempo, è riuscito a viverci, spesso con (s)fortune alterne. Analizzare i singoli racconti sarebbe ora inutile e prolisso, quello che è evidente è che lo scrittore parli di gente semplice, con sogni, vite e paure semplici. E anche una grande quantità di sfiga. Sì, perché, se non ricordo male dimenticando qualcuno, nessuno degli abitanti della valle è esente dalla sfiga, grande o piccola. Ed è tutto qui, in modo molto semplice.
Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de’ tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: in vece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; ché mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l’uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,
ci sia qualch’altra felicità.
https://pensieroprofondo42.com/2017/11/29/i-pascoli-del-cielo-di-john-steinbeck/
Il romanzo, del 1932, è in realtà una raccolta di racconti in cui i vari personaggi compaiono più volte, andando a creare una sorta di storia unica fatta di intrecci. I pascoli del cielo non sono nient’altro che una vallata della California centrale in cui, a quanto si capisce, ogni persona sana di mente desidererebbe vivere. Una sorta di paradiso terrestre. Steinbeck narra le vicende di chi, per più o meno tempo, è riuscito a viverci, spesso con (s)fortune alterne. Analizzare i singoli racconti sarebbe ora inutile e prolisso, quello che è evidente è che lo scrittore parli di gente semplice, con sogni, vite e paure semplici. E anche una grande quantità di sfiga. Sì, perché, se non ricordo male dimenticando qualcuno, nessuno degli abitanti della valle è esente dalla sfiga, grande o piccola. Ed è tutto qui, in modo molto semplice.
Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de’ tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: in vece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; ché mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l’uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,
ci sia qualch’altra felicità.