
Capitolo 1
Fortezza di Khust Transcarpazia, Febbraio 1859
In quella fredda mattina di febbraio, Franz, guardava dal suo ufficio-comando i suoi uomini che, nel cortile della fortezza di punizione, erano intenti alla deprimente routine dei lavori di guarnigione.
Una bella squadra di teste calde, finite lì per aver “macchiato” il loro onore
di ufficiali con abusi o con azioni contrarie al codice militare:
Markus, un coraggioso capitano del Kaiserjaeger: aveva ucciso due borghesi che avevano sparlato in pubblico dell’Imperatrice;
Ludwig, anche lui tenente dei Kaiserjaeger: aveva ucciso in duello un politico che aveva osato parlar male dell’Imperatore;
Half, Franjo, Franziskus Von P. e Hamer: ufficiali di Cavalleria del Reggimento Ulani “Maria Theresa”: colpevoli di aver teso un’imboscata ad un gruppo di “patrioti” polacchi e di averli giustiziati dopo che si erano arresi;
Klaus, tenente dei Dragoni: colpevole di aver guidato una “spedizione punitiva” in un circolo liberale a Budapest causando la morte di tre borghesi;
Gert e Max; ufficiali del Reggimento di Cavalleria “Radetzky”: colpevoli di aver malmenato tre studenti liberali, poi deceduti in ospedale per le ferite riportate;
— infine Lukas e Hans, ufficiali del Reggimento Cavalleria “Granduca Leopoldo di Lorena”: accusati di aver ucciso sempre in duello due funzionari in odore di frammassoneria.
Pur avendo tutti agito per fedeltà nei riguardi dell’Impero, si erano resi colpevoli, secondo le leggi e il Tribunale Militare, di aver disonorato la divisa che portavano, facendosi giustizia da soli. Erano stati tutti condannati a cinque anni di fortezza, ed erano stati degradati a soldati semplici.
La guardia sul muro di cinta, catturò l’attenzione di Franz. Stava dicendo qualcosa all’ufficiale di giornata. Indicava una figura nella
neve che stava avanzando lentamente verso la fortezza.
Il comandante prese il cannocchiale e lo avvicinò alla finestra. Era un uomo a cavallo.
Probabilmente un messo. Era raro in quella fortezza dimenticata da Dio e dagli uomini, ricevere messaggeri.
Franz si accomodò sulla poltrona vicino al caminetto e si accese un sigaro. Quasi ipnotizzato dalle fiamme, si scordò del messo e, fissando il fuoco, fu assalito dai ricordi.
Il suo pensiero ripercorreva le gioiose giornate trascorse a Vienna e poi Budapest; i balli e i corteggiamenti, i camerati del Reggimento della Guardia Imperiale, e maledì il giorno in cui, ebbe la malaugurata idea di sfidare a duello il conte Zarkozsy, un liberale molto potente a corte,
uccidendolo con un colpo alla gola.
Il pensiero tornò al processo e alla condanna. Fortunatamente, grazie alla sua brillante carriera, aveva mantenuto il grado, ma cinque anni di fortezza di punizione da passare lontano dalla vita spumeggiante delle capitali dell’Impero, erano per lui un peso intollerabile.
Senti bussare alla porta. Era un soldato che gli annunciò l’arrivo di un messaggero.
Franz fece cenno di farlo entrare. Si accomodò la giacca e si sedette dietro la scrivania.
Il militare si mise sugli attenti e gli consegnò un plico sigillato con la ceralacca. Il capitano, ordinò al suo attendente di procurare un alloggio e un pasto caldo al messo. Poi, rimessosi sulla poltrona davanti al camino, aprì la busta e cominciò a leggere.
Dentro il plico vi era una lettera. La carta intestata faceva riferimento al KGB: KaiserGeheimBuro, il misterioso Ufficio Segreto Imperiale, di cui aveva sentito parlare a Vienna. Su un lato della lettera c’era scritto: “Segretissimo. Da consegnare personalmente al Barone Franz von F.”
La cosa stupì l’ufficiale, che continuò a leggere: “La S.V. È convocata per urgentissime comunicazioni, insieme ai nominativi allegati, per il giorno 27 febbraio nel Castello di Pichlarn a Irdning, nei pressi di Graz.
Firmato
Colonnello Friedrich Hans von Nowotny”.
Seguivano i nomi degli undici ex-ufficiali della Compagnia di Punizione.
Allegato, Franz trovò un salvacondotto imperiale per lui e per i suoi uomini che avrebbe dovuto esibire al comandante della fortezza.
L’ufficiale fece chiamare a rapporto gli uomini della lista. Espose succintamente la richiesta del colonnello Von Nowotny e ordinò loro di prepararsi:
«Domani mattina, alle 8, partiamo alla volta del castello di Pichlarn. Potete andare.»
2
Il mattino seguente la Compagnia di punizione si mise in cammino verso ovest. Il 26 febbraio giunse a Graz, dove secondo le indicazioni contenute nelle istruzioni che Franz K. aveva letto e poi distrutto, presero alloggio, in abiti borghesi, in un alberghetto.
Passarono la giornata in camera e la sera cenarono in un grazioso ristorante: “Al Leon d’Oro”, dove si spesero in fantasiose congetture sulla loro misteriosa convocazione.Il comandante Franz K. tagliò corto:
«Inutile fantasticare. Domani sapremo tutto. Ora torniamo in albergo.»
La sera del giorno successivo, alle 18, due carrozze vennero a prelevarli e per portarli al Pichlarnschloss.
Furono fatti entrare in un ampio ingresso, dove un uomo in borghese raccolse i loro soprabiti; quindi furono introdotti in una grande sala, illuminata dai bagliori di un caminetto acceso e dalle tenui
luci di alcuni candelabri.
Nella penombra, seduta su una poltrona, una giovane donna, elegantemente vestita. Una veletta le nascondeva il volto, non tanto da non mostrare i bei lineamenti aristocratici. Aveva i capelli
biondi raccolti a chignon.
Franz K. le si avvicinò e con un inchino si presentò. Poi, uno ad uno presentò i suoi uomini.
La dama, guardando negli occhi l’ufficiale, sussurrò alcune parole: «Sono la Contessa Halexandra Orsenigo-Giesler…»
In quello stesso istante entrò un uomo, vestito di nero, accompagnato da due attendenti.
«Signori, prego, accomodatevi. Sono il Colonnello von Nowotny… Bene. Vedo che vi siete già presentati con la Contessina.»
Il colonnello si sedette dietro ad una ampia scrivania e si fece consegnare dai due uomini che erano entrati con lui, 12 cartelle in pelle. Su ognuna di esse c’era un nome. Nowotny cominciò a leggere sbrigativamente i dossier, poi, giunto all’ultimo, alzando gli occhi fissò Franz K.
«L’uccisione in duello del conte Zarkozsy non è stata gradita in alcuni ambienti di corte, capitano Franz K!»
«Era un liberale e un framassone!» rispose il comandante della Compagnia.
«Lo so, lo so. Per questo c’è molta gente che le è grata, altra invece, no… Come voi saprete il veleno settario si è insinuato anche a Corte. I liberali e i democratici ci legano le mani. La stampa ci controlla. La nostra
capacità di intervenire è limitata. La guerra rivoluzionaria scatenata dalle centrali massoniche usa contro di noi qualsiasi arma; noi contro di loro possiamo usare solo il fioretto…
Ma l’Imperatore è preoccupato. Confidandosi mi ha chiesto come poter correggere queste nostre debolezze.
Gli ho detto che potevamo rispondere alla guerra rivoluzionaria solo con la guerra contro-rivoluzionaria, usando cioè le loro stesse armi. Sulle prime al Kaiser ripugnava ricorrere a mezzi subdoli e illegali, ma poi si è convinto. L’Imperatore mi ha conferito carta bianca. Il mio ufficio dipende
direttamente da Sua Maestà. Quindi tutto ciò che faccio e farò va al di sopra di ogni controllo istituzionale.
Dopo l’Imperatore vengo io.
«Per attuare questa nuova strategia ho pensato ad uomini fidatissimi e pronti a tutto. Ecco perché vi ho convocati. Sappiate che la Francia entrerà in guerra insieme al Piemonte contro di noi verso la metà dell’anno, invadendo il Lombardo-Veneto. Sappiamo che in Lombardia qualcuno sta lavorando per creare una rete fittissima di agenti provocatori, sabotatori e informatori che dovrà facilitare l’invasione. Vostro compito e quello della Contessina Halexandra, sarà quello di indagare, procurare
notizie e poi colpire inesorabilmente questa organizzazione sovversiva. Il piano è questo…» dette queste parole, Von Nowotny apri una cartella di pelle rossa.
3
l Piano
Il capo del KGB iniziò a parlare: «Abbiamo intercettato un dispaccio segreto proveniente dall’Ispettorato della Imperial Regia Polizia di Milano con il quale si chiede l’allontanamento di dodici funzionari, come dire?, troppo curiosi e zelanti.
Questo messaggio è stato inviato al Barone Rudolf von Altheim, responsabile del Personale dell’IRP, che noi sospettiamo essere un settario.
In questo dispaccio si richiede l’invio di dodici nuovi funzionari, più, diciamo… “fraterni”.
Così è scritto, mi capite, vero? Dunque, ho pensato di assecondare i desideri del Vice Capo della Polizia che ha fatto questa richiesta. Naturalmente al posto di questi funzionari “fraterni” e amici, andrete voi. Prenderete le loro identità e il loro posto e indagherete sul Vice Capo e sulla rete sovversiva»
«Ma se qualcuno a Milano conosce questi funzionari?» chiese Franz K. «Niente paura: nessuno li conosce.
Non sono mai stati nel Lombardo-Veneto e poi, da un paio di giorni, una serie di tragiche fatalità ha voluto che, sia il Barone Altheim, sia i dodici funzionari “fraterni”, siano rimasti vittime di incidenti di caccia e di altre disavventure, ahimè, mortali… Viviamo tempi crudeli. La notizia della morte dei dodici è stata tenuta segreta.» disse Nowotny, sorridendo.
«Ovviamente il Barone von Altheim, prima del triste incidente che ci ha privato della sua presenza, ha fatto a tempo a rispondere e a dare il suo benestare all’invio dei dodici poliziotti… “fraterni”.
Voi, per il momento rimarrete nel castello. Seguirete un corso speciale di infiltrazione; studierete i rituali e i salamelecchi della frammassoneria; e infine sarete inviati a Milano dove i “fratelli” vi attendono con ansia.
«La Contessina Halexandra, una delle mie più brillanti collaboratrici -la dama accennò ad un sorriso- partirà invece subito. Avrà il compito di carpire informazioni nell’alta società milanese.
A Milano farete riferimento a un mio uomo: “Wolf”. Sarà lui a contattarvi. Ha messo su una bella squadra di controrivoluzionari e fedeli sudditi dell’Imperatore. Gente tosta come voi e che non vede l’ora di mettere
le mani sui settari rivoluzionari. È tutto. Domande?»
«Nessuna, Colonnello. Contate su di noi!» disse Franz K.
Trascorsa la settimana del corso intensivo, i dodici uomini della Compagnia di Punizione, dotati di nuove identità, credenziali ineccepibili e di una certa fama di “liberali”, partirono alla volta della capitale
del Lombardo-Veneto.
L’Ispettorato della Imperial Regia Polizia (IRP) era comandato nominalmente da un vecchio generale austriaco, ma data l’età avanzata, aveva di fatto delegato i poteri al Vice Capo.
Un uomo che i dodici nuovi funzionari incontrarono al loro arrivo. Si presentò loro con un fare ridanciano che urtò molto gli
uomini di Franz K. Era un lombardo, alto e con la faccia rubiconda. Li salutò, ridendo.
«Sono il Vice-Capo Ugoberto Calderolo e sono felicissimo di accogliervi a Milano. Amici a Vienna mi hanno parlato molto bene di voi…» disse ammiccando.
«Avevamo bisogno di gente nuova! Ho saputo della terribile disgrazia accaduta al Barone von Altheim, durante la battuta di caccia. Che fine terribile. Una perdita immensa…»
«Sì, una perdita enorme,» rispose Franz K, fingendo costernazione.
«Già» disse Calderolo, incupendosi. «Una perdita che non gioverà al vento delle riforme che spira in Lombardia e in tutto il Nord. Un vero peccato. Comunque prima di morire mi ha parlato di voi…» e strizzò l’occhio.
«Orsù. Ora ora prendete possesso dei vostri alloggiamenti e poi sarete tutti miei ospiti.
Vi porterò a mangiare in una tipica trattoria dove potrete gustare la cucina lombarda…»
Gli uomini dopo aver posato i bagagli nella caserma, lo seguirono. Entrarono in una taverna nei pressi di Porta Venezia chiamata “Dal Carbonaro”.
Franz K. e gli altri osservarono gli avventori: studenti, quarantottini, rivoluzionari, sfaccendati, facce patibolari: la feccia e la “mala” della città pareva essersi data appuntamento nel locale.
«Qui si mangia divinamente!» disse, ridendo, Calderolo. «Pare un posto equivoco, ma in realtà è frequentato dalla miglior società…»
Il gruppo si sedette a un grande tavolo e l’oste corse a chiedere cosa desiderassero.
A metà del pranzo entrò nella taverna un ometto, circondato da una dozzina di uomini, probabilmente guardie del corpo e uno stuolo di belle ragazze e strani personaggi. Vide Calderolo e gli andò incontro abbracciandolo.
«Permettete che vi presenti il mio grande amico Silvan Bruscoloni!»
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Il nuovo venuto sfoderò un irritante sorriso a settantadue denti. Salutò tutti con ampi gesti delle mani e iniziò a parlare di se stesso, della sua ricchezza e a raccontare insulse barzellette, accolte dalle grandi risate di Calderolo e degli avventori.
Una di queste, era palesemente offensiva nei riguardi dell’Imperatore. Ludwig, tentò di scattare, pronto a scagliarsi addosso al Bruscoloni. Fortunatamente, Klaus e Franz K. lo bloccarono per tempo.
«Vuoi rovinare tutto?» gli sussurrò Franz K.
Ludwig riprese il controllo di se stesso e si calmò.
Calderolo ordinò per tutti, spaghetti alla carbonara, calcando il tono della voce su “carbonara” e dando di gomito a Bruscoloni, che scoppiò in una risata, imitato da tutto il suo seguito di guardie del
corpo, nani e veline. Al termine del pranzo, l’imprenditore, seguito dalla scorta e dal codazzo, lasciò la taverna, non senza aver prima invitato Franz K. e i suoi uomini ad una festa nella sua villa di Ercore.
Salutati tutti con ampi sorrisi e pacche sulle spalle, se ne andò salendo su una carrozza blindata.
Calderolo, raccontò ai suoi ospiti che Silvan era l’uomo più ricco del Lombardo-Veneto e dell’Impero.
Possedeva case editrici, le più importanti gazzette, teatri, locali, caffè, negozi. ” Un vero nababbo.
Ma anche un uomo generoso. Anzi” , disse strizzando l’occhio
«un vero… fratello… Ahahahah!
Pensate che un giorno, io e la mia associazione eravamo al verde. Arrivò lui e ci fece un prestito di 70
milioni di talleri…»
Poi Calderolo, fra un bicchiere di vino e l’altro si fece più serio. Disse che era necessario un cambiamento,
che urgevano delle riforme e soprattutto che il Lombardo-Veneto necessitava dell’indipendenza dal potere centralista di Vienna. Terminati i discorsi seri riprese a ridere e, con somma sorpresa dei presenti,
si sganciò la giacca, si sbottonò la camicia e dopo averla aperta sul petto, ridendo sgangheratamente mostrò la maglietta, sulla quale, c’erano una serie di volgari vignette raffiguranti l’Imperatore Anche gli altri avventori iniziarono a ridere sguaiatamente. Gli uomini della Compagnia avrebbero voluto estrarre le pistole e fare a pezzi Calderolo e i clienti, ma si contennero, unendosi alle risate generali.
Il giorno seguente Wolf prese contatto con gli uomini della Compagnia. Disse che la sua squadra stava lavorando alacremente e che era riuscito a infiltrare due suoi agenti, Kalas, un galiziano che si spacciava per un disertore e tale Agape, una popolana controrivoluzionaria che si era creata una nomea di rivoluzionaria e anti-asburgica. Il primo era entrato in contatto con gli studenti rivoluzionari e con alcuni circoli della sinistra antagonista garibaldina che gravitavano intorno ad alcuni centri sociali
della periferia cittadina. Agape era riuscita a entrare in una cellula sovversiva clandestina libertaria.
Da parte sua Franz K., consegnò a Wolf, il primo rapporto, con notizie sul tradimento di Calderolo e sull’imprenditore Bruscoloni. Al termine i due si salutarono, dandosi appuntamento per la settimana successiva. Due giorni dopo la Compagnia ricevette l’invito di Bruscoloni per la cena nella sua
mega-villa ad Ercore. A portare gli inviti fu il tuttofare Emilio Fidelio che promise agli uomini una “cena simpatica” e una serata indimenticabile. Appuntamento alle ore 21.00.
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Festa nella Villa di Bruscoloni
Al loro arrivo alla villa, gli uomini della Compagnia furono accolti dal padrone di casa e da Calderolo con grandi sorrisi e pacche sulle spalle, che irritarono non poco gli uomini che però si trattennero dal darlo a vedere.
«Ed ora, prima del piacere, il dovere. Avete portato l’occorrente?» chiese Bruscoloni.
«Certo!» rispose Franz K.
Gli ospiti furono fatti entrare dentro l’anticamera di quello che, almeno dai simboli sull’architrave, sembrava essere un “tempio”.
Dalle loro borse estrassero cappucci, grembiulini, guanti e spadino, e si acconciarono come perfetti frammassoni. Anche Calderolo e Bruscoloni si vestirono da “fratelli”. Furono introdotti nella loggia.
L’oratore del Tempio dette loro il benvenuto e i presenti batterono gli spadini sulla tavola. Franz K. contò una trentina di massoni.
L’oratore dette l’inizio ai lavori: « Cari Fratelli, fra tre mesi, le truppe franco-piemontesi entreranno nelle nostre terre, ottenebrate dalla tirannia e dalla superstizione ad esportare la democrazia e a
liberarci. Migliaia di Fratelli stanno lavorando alacremente a questa epifania della Libertà. In totale le officine massoniche e carbonare contano 666 adepti-cavalieri pronti alla lotta e divisi in compagnie di informatori, infiltrati e sabotatori. Oltre a loro contiamo sui Fratelli nella Polizia agli ordini del Cavaliere di Kadosh, Calderolo e sui dodici nuovi Fratelli giunti da Vienna.»
L’oratore terminò i lavori leggendo gli auguri del misterioso capo della cospirazione “Aspide” e augurando il trionfo della Luce sulle Tenebre.
Quando ebbe finito di parlare, i frammassoni si tolsero i cappucci e si fecero intorno ai nuovi venuti.
Per primo fu loro presentato Gianfino Gianfinoglio, capo dell’Arca dell’Alleanza Nazionale. Uno spilungone dai modi arroganti e boriosi che suscitò l’immediata antipatia degli uomini della Compagnia. Chiese notizie
sulla situazione dei fratelli dalmato-istriani, augurandosi una guerra per liberarli dal giogo austriaco.
«Veramente,» scappò detto a Hamer «i fratelli giuliano-dalmati stanno benissimo…»
L’uomo lo squadrò gelidamente.
Intervenne Half che spiegò: «Il fratello Hamer intendeva che stanno benissimo e sono prontissimi a sollevarsi contro la tirannia…»
«Ah… Bene.!» rispose lo spilungone abbozzando un gelido sorriso.
Seguì un romano, basso, stempiato e grasso con i baffi che sussurrò loro: «Embe’! Je la famo! Se po’ fa’!»
Fu poi la volta di Donis Verdinis, uno dei capi dell’associazione segreta “Forza Italia”, particolarmente forte fra la borghesia del Lombardo-Veneto.
Half, con falsa ingenuità, chiese chi fosse il capo di “Forza Italia”.
«Ma è Bruscoloni!» rispose ridendo Calderolo
Infine fu presentato un avvocato. Un tipo dallo sguardo stupito. Tale Pisapippo, accreditato come uno dei capi dell’antagonismo sociale lombardo in combutta con i circoli garibaldini clandestini.
6
L’amicizia con l’ex-attricetta, moglie di Bruscoloni,
fu fondamentale per la scoperta di segreti gelosamente custoditi dalla setta.
Halexandra durante un incontro segreto con Franz K.,
riferì che nella villa del Bruscoloni c’era una cassaforte con dentro importantissimi segreti.
Probabilmente la lista di tutti i sovversivi del LombardoVeneto.
Era accaduto che un giorno l’amante del Bruscoloni, volle mostrarle, durante una sua visita ad Ercore,
i gioielli che il marito le aveva regalato. La portò nella biblioteca, e dopo aver spostato uno scaffale,
indicò la cassaforte. La donna, imprudentemente, l’aprì davanti ad Halexandra, che memorizzò i dati della
combinazione. Le mostrò i preziosi, che la contessina riferì a Max essere di una pacchianeria e di una
volgarità senza limiti e, mentre la padrona di casa faceva mostra delle sue ricchezze, Halexandra, vicina
alla cassaforte, con la coda dell’occhio lesse sulla copertina di quelli che sembravano libri contabili la
scritta “Lista Fratelli Operazione Aspide”. «Ti ricordi la combinazione?» le chiese Franz K.
«Sì! ‘1859 Viva Verdi‘…» rispose la nobildonna.
Franz K. la ringraziò per le notizie che aveva portato e le baciò la mano.
Halexandra sorrise e uscì in un fruscio di seta e taffettà, seguita dallo sguardo ammirato del Comandante
Gli uomini della Compagnia ricevettero l’ordine di riunirsi la sera stessa in una villetta fuori mano,
lontana da sguardi indiscreti, procurata al gruppo, da Wolf.
«Halexandra oggi mi ha fornito informazioni della massima importanza.» E iniziò a raccontare
della cassaforte e del suo contenuto. «Dobbiamo,» disse Franz K., «buttare giù un piano per penetrare nella
villa.»
«So io come fare…» disse Half. «Ricordate quella biondina, quella ballerina dell’altra sera con la quale…
ehm… Sì, insomma… avete capito… Ebbene, le ho chiesto notizie, dopo naturalmente… e ho appreso alcune
cose interessanti. Una di queste è che venerdì prossimo, Bruscoloni, moglie e la sua corte di nani,
veline e ballerine al completo si trasferiranno, a Bellagio, in un’altra sua villa dove sabato sera daranno
una festa. Torneranno ad Ercore lunedì mattina. Avremo due notti a disposizione.»
«Sì,» disse Frank, «ma in casa ci sarà la servitù e la guardia.»
«Anche su questo posso darvi qualche informazione: la servitù è composta da una trentina di
persone; mentre la guardia, che dorme nella dependance, conta otto uomini, che a turno fanno il giro
della cinta muraria della villa. Non sarà difficile
metterli fuori combattimento.» Franz K. insieme ai suoi uomini studiò il piano. Venerdì pomeriggio si sarebbero
nascosti nelle vicinanze della villa. Avrebbero atteso la partenza di Silvan Bruscoloni e con il favore
delle tenebre, sarebbero entrati nella magione, dopo aver neutralizzato la guardia e la servitù.
La notte del Venerdì sera la Compagnia si appostò nei pressi della casa dell’imprenditore. Verso le
19, gli uomini di Max, videro sei carrozze blindate (di cui quattro della scorta) attraversare il cancello e
uscire dalla grande tenuta. I finti ladri della Compagnia erano armati di bastoni, corde, pugnali e pistole.
Sul volto portavano delle maschere.
«Sistemiamo la guardia!» disse Ludwig.
La Compagnia circondò il casotto dove vi erano otto uomini. L’azione fu fulminea. Poco dopo tutte le
guardie giacevano a terra addormentate dai colpi di bastone; un paio che avevano tentato una reazione,
furono uccise.
Il capo risultò essere uno “stalliere”, proveniente dal Regno delle Due Sicilie. Gli altri, legati,
imbavagliati, furono rinchiusi in uno stanzino senza finestre.
Lungo il viale, due grossi cani, si avventarono sul gruppo, abbaiando. Per loro, due polpette drogate
furono sufficienti a ridurli al silenzio.
Giunti davanti all’ingresso, Klaus , con un grosso mazzo di chiavi, riuscì ad aprire il portone.
Gli uomini penetrarono dentro la villa. Neutralizzare la servitù fu facile. Una ventina di persone
erano riunite nella grande cucina, intente a cenare.
Fu loro intimato di alzarsi e, in preda allo spavento, dopo essere stati legati e imbavagliati furono
portati nella cantina e ivi rinchiusi.
Franz K. e i suoi uomini, seguirono le indicazioni di Halexandra, salirono lo scalone, ed entrarono nello
studio di Bruscoloni. Spostarono una libreria e trovarono la cassaforte. Lukas armeggiò con il pomello
girandolo ora a destra, ora a sinistra, inserendo le cifre e le lettere della combinazione.
7
Al termine si udì uno scatto. La pesante porta diferro si aprì. Franz K. avvicinò un candelabro e
afferrò una grossa cartella in pelle rossa. Dentro vi era un libro, simile a quelli contabili.
Il comandante del gruppo lo aprì: vi erano le liste con i nomi di migliaia di cospiratori.
«Al lavoro!» disse. Sulla scrivania, al lume di candela, a turno gli uomini si sarebbero
impegnati a trascrivere i nomi e indirizzi. Uno avrebbe dettato, l’altro avrebbe scritto.
Klaus aveva calcolato che per trascrivere il contenuto, ci sarebbero volute una decina di ore.
«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo» disse Half. Ludwig, intanto, curiosando e frugando nella
cassaforte, trovò, nella parte inferiore un libro in pelle nera. Lo iniziò a leggere poi esclamò:
«Questa è una bomba!» «Di cosa parli, Ludwig?» chiese Lukas. «Di questo libro! Si intitola I Protocolli
dei Soavi Maestri Venerabili del Tempio… Si dicono cose incredibili e si preannunciano le guerre e le strategie
della Rivoluzione. Pare un romanzo!» «Copiatelo!» ordinò Max. «Può benissimo non essere un romanzo.»
Half, si mise ad un altra scrivania e iniziò a scrivere, mentre Franjo dettava. La mattina, dopo una decina
di ore di intensa scrittura, gli “amanuensi” terminarono il loro lavoro. Riposero i libri che avevano
copiato nella cassaforte e la richiusero. Uscendo arraffarono dell’argen teria, per far credere ad
una incursione di ladri e, avvolti in una fitta nebbia, raggiunsero le carrozze che Wolf e Lanzichenecco
avevano nascosto in una cascina abbandonata nei pressi della villa.
8
«Bene!» disse Franz K. «Se le cose stanno così abbiamo ancora margini di manovra…»
La mattina seguente, il capo dei falsi poliziotti e i suoi uomini, nel palazzo
della Imperial Regia Polizia, incontrarono un Calderolo raggiante.
«Abbiamo messo le mani su una vasta rete di
reazionari che stavano tramando contro la libertà! Ci è scappato il capo. Un certo Wolf;
ma lo acchiapperemo, ahahahah!»
Klaus chiese al Vice Capo della Polizia come avesse fatto a scoprire la rete.
«Semplice,» disse Calderolo, «ho pizzicato un elemento della loro rete. Un certo Nebbius,
che tenevamo da tempo sotto controllo e l’ho convinto a collaborare con noi. Poi gli ho
messo in mano un sacchetto con 30 talleri d’argento… Ah ah ah ah… Non solo mi ha
offerto la colonna reazionaria al completo su un piatto d’argento; ma mi ha anche riportato
dei documenti di straordinaria importanza che erano capitati per vie misteriose nelle mani dei
nemici della libertà.»
«Mi piacerebbe conoscere questo Nebbius,» chiese Klaus.
«Niente di più facile. Venite con me. È nel mio ufficio ah ah ah!» Frank chiese dove fossero stati
portati i controrivoluzionari.
«Sono al sicuro. Ora se li sta lavorando il “fratello” La Rissa e i suoi picciotti, nella cascina
Bustengo, nelle campagne del lodigiano… ah ah ah! Domani mattina andremo insieme a vedere quei
cani e a interrogarli. Sempre che siano in grado di parlare… ah ah ah ah!»
Nell’ufficio di Calderolo, la Compagnia fece la conoscenza del traditore. Ludwig chiese al Vice-Capo
se anche loro avrebbero potuto usufruire dei suoi servizi.
«Certo che potete. Nebbius è un collaboratore di giustizia mio, ma anche vostro. Anzi domani verrà
con noi alla cascina a interrogare i suoi ex compagni.»
Alle 20, Franz K. e i suoi uomini erano già a cavallo alla volta della cascina del torturatore La Rissa.
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La Rissa e i suoi picciotti, non risposero. Ma divennero più malleabili quando
tornò Klaus e annunciò a Franz K di aver trovato gli uomini di Wolf nella stalla.
Legati e orrendamente torturati. Alcuni di loro, disse Klaus, erano morti per le sevizie.
Franz K fece cenno a Hans, Maximus e Franziskus di andare a liberarli, poi indicò a Ludwig la
grossa trave sul soffitto, proprio sopra il tavolo. Il kaiserjaeger, uscì fuori, tornando
poco dopo con numerose corde, che iniziò a fissare sulla trave. In breve dieci forche furono
pronte. La Rissa e i suoi picciotti iniziarono a protestare e ad accusarsi a vicenda.
Ognuno diceva di non far parte della banda, né di aver torturato i prigionieri.
Ma tutti furono sconfessati da Kalas, che aiutato da Hans apparve sulla porta, tutto
insanguinato. Con un filo di voce condannò a morte i dieci, accusandoli:
«Tutti questi che sono qui, ci hanno seviziato a turno…» poi svenne.
«Guesdo è pazzo! Noi non abbiamo dordurato nessuno. Siamo innogendi!» urlò il La Rissa,
cercando di sciogliere le corde che gli tenevano le mani legate dietro la schiena.
Markus li fece salire sul tavolo e dopo avergli messo
il cappio, ed essersi raccomandato che porgessero i saluti della Compagnia al Grande Architetto
e a Satana, lo rovesciò, aiutato da Half, Franjo e Gert.
Dieci corpi cominciarono a penzolare. Pochi minuti dopo i torturatori erano tutti morti. Giustizia
era stata fatta. Un odore di zolfo si sparse nella sala.
I prigionieri torturati, fra cui Kalas, sua moglie Agape (seviziata nonostante fosse incinta!),
furono caricati nelle carrozze della Banda La Rissa e portati nella villa della Compagnia,
dove si era nascosto anche Wolf.
Qui trovarono anche Halexandra, che fu utilissima nel portare le prime cure ai controrivoluzionari,
selvaggiamente torturati.
«Qui, starete al sicuro!» disse loro Franz K. «Ora state tranquilli e guarite.»
Il giorno dopo, tornati a Milano, Franz K e la Compagnia, salirono sulle carrozze con Calderolo e
Nebbius, alla volta della cascina. Durante il viaggio il Vice Capo della polizia fu particolarmente
ciarliero e ridanciano. Magnificò le capacità di “persuasione” del La Rissa e dei suoi picciotti.
«Vedrete,» aggiunse Calderolo, «che simpaticone è. Arriveremo e lui avrà già fatto cantare i
reazionari… Ah! ah! ah! I suoi uomini sono i migliori elementi delle cosche trapiantate in Lombardia:
elementi di prima qualità, ah! ah! ah! ah!… Anche loro ci stanno dando una mano…»
Giunti che furono nelle vicinanze, Calderolo si avvide che all’ingresso non c’era il solito picciotto
di guardia. Insospettito scese dalla carrozza e si avviò verso l’ingresso della cascina.
La porta era semiaperta. Entrò circospetto.
Gli uomini rimasti fuori udirono un urlo. Calderolo uscì fuori stravolto e balbettante:
«Presto! Venite…»
Gli uomini della compagnia scesero e lo raggiunsero.
«Guardate!» disse pallido come un lenzuolo.
Gli uomini di Max entrarono e finsero un immenso stupore e sgomento: dieci picciotti e il La Rissa
pendevano appesi alla trave.
«Forse si sono suicidati…» disse Franziskus, che fu raggiunto da un calcio di Klaus.
Fortunatamente, Calderolo, con la mente immersa in foschi pensieri, non sentì la battuta ironica
del giovane.
«Probabilmente i prigionieri reazionari si sono liberati e…» disse Maximus.
«Andate a vedere nella stalla se i prigionieri sono ancora lì…» suggerì Calderolo.
Half, Franjo e Nebbius si diressero verso l’edificio prigione. Ma giunti videro solo quattro cadaveri
orrendamente seviziati.
«Li conoscevi, Nebbius?» chiese Half al traditore che stava tremando come una foglia.
Nebbius sussurrò un flebile: «Sì.» Poi corse fuori a vomitare, raggiunto dagli altri due.
«Hai paura dei morti?» gli chiese Franjo.
«Avevo chiesto a Calderolo che non fosse fatto loro del male…li conoscevo…»
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L’uomo iniziò a singhiozzare come un bambino. I due della Compagnia, lo avrebbero voluto
strozzare,ma allo stesso tempo capirono che il traditore era inpreda a un terribile rimorso,
che lo scuoteva come una foglia al vento.
I tre tornarono nella cascina e dissero che i prigionieri, eccetto quattro cadaveri, erano
scomparsi.
«Li riprenderemo,» disse Calderolo. «L’importante è avere recuperato la lista e il libro…»
«Quale lista? Quale libro?!» chiese fintamente sorpreso FRanz K.
«La lista dei fratelli della Lombardia e un libro importantissimo, di cui probabilmente alcuni
“ladri”, non sappiamo come, sono venuti in possesso…»
«Non ci avevi detto niente, Calderolo. Forse non ti fidi di noi?» disse risentito Franz K, mettendo
in difficoltà il Vice Capo.
«Avete ragione “fratelli”. Comunque era mia intenzione dirvelo…» si scusò, Calderolo.
Nei giorni che seguirono, Franz K e i suoi uomini, tentarono di carpire qualche notizia sulla Lista e
il Libro, ma Calderolo, di solito molto ciarliero, fu un muro impenetrabile. Disse che solo i
Maestri dal 31° grado in sù, potevano consultare i documenti. Una cosa però la Compagnia riuscì a fare:
ricostruire le tappe della Rivoluzione, così dettagliatamente descritte nei Protocolli dei Soavi Maestri
Venerabili del Tempio.
Ludwig e Half, per alcuni giorni si isolarono e cercarono di ricordare tutti i passaggi più importanti. In
fondo il libro lo avevano letto e copiato.
Ne venne fuori questo quadro. Si partiva dagli eventi passati:
— Moti del 1820;
— Moti del 1848 e la 1ª Guerra d’Indipendenza;
— 2ª Guerra di indipendenza (1859);— Attacco al Regno delle Due Sicilie e agli altri stati italiani,
da portare entro il 1860;
— Proclamazione del Regno d’Italia;
— 3ª Guerra d’indipendenza (intorno alla metà degli anni Sessanta dell’Ottocento);
— 4ª Guerra d’indipendenza da iniziare intorno al (1910/1915) e distruzione monarchia asburgica;
— Rivoluzione in Russia e distruzione della monarchia zarista (1915/1920);
— Guerra mondiale con distruzione stati nazionali europei presumibilmente nel 1940;
— Rivoluzione Libertaria (1968);
— Guerra Finale (2000) e proclamazione del Governo Mondiale.
Il libro riscritto a grandi linee e basato sui ricordi dei due ufficiali, fu portato a Vienna al
Colonnello Nowotny, da Franz K in persona.
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La guerra
Nel Giugno di quell’anno, l’esercito franco-piemontese, invase il Lombardo-Veneto.
E con la guerra arrivò la resa dei conti. La sera seguente l’attacco proditorio, nella villa di Arcore, Bruscoloni convocò tutti i capi della cospirazione: Calderolo, Gianfino Gianfinoglio, Pisapippa, Gostanzosciò, Svendola e altri. Una trentina di “fratelli” fra cui anche Calderolo e Franz K.
Il comandante avvertì i suoi uomini a tenersi pronti.
La sera, la Compagnia, finalmente con la divisa nera del Kaiser Geheime Buro e l’aquila d’argento, si mise a cavallo alla volta della villa di Bruscoloni
Franz K avrebbe dato il segnale del via all’operazione, attraverso la luce di una candela che avrebbe acceso e poi spento e poi riacceso, dalla finestra di un bagno che dava sul parco, in direzione Est.
Il momento tanto atteso era arrivato. Il conflitto era scoppiato e loro, la Compagnia Nera, sciolta da ogni vincolo, grazie allo stato di guerra, si preparò a presentare il conto.
Bruscoloni e i cospiratori in trappola
Quando Markus vide la luce alla finestra, dette l’ordine agli uomini di scavalcare il muro di cinta
della villa. Wolf insieme a Kalas, e gli altri, si sarebbero occupati della guardia che era ospitata
nel casotto vicino al cancello.
La Compagnia giunse invece alla porta che Franjo aprì senza difficoltà e una volta dentro, il gruppo
si diresse verso la Sala del Tempio.
Ludwig, con un calcio, aprì la porta e gridò: «Siamo la
17ª Compagnia del Kaiser Geheime Buro! Siete tutti in arresto per alto tradimento!»
Bruscoloni che fino al quel momento stava arringando i “fratelli”, urlò: «Cribbio!!! Il KGB!!!
Aiuto!!!»
Franz K si tolse il cappuccio e con la pistola in pugno ordinò ai fratelli di mettersi contro il muro,
con le mani in alto. Half e Lukas tolsero i cappucci e iniziarono a legare i polsi dei cospiratori.
Calderolo, Gianfinoglio, Bruscoloni, Pisapippa e Formigone, bianchi come lenzuoli, farfugliarono
frasi sconnesse. Altri iniziarono a invocare Satana. Hamer ordinò a Bruscoloni di dargli la lista
dei cospiratori.
L’imprenditore iniziò a piagnucolare e a dire che lui non aveva niente. Ludwig , con un colpo preciso e
netto della sciabola, tagliò la testa al suo sodale Gostanzosciò, che stava di fronte al capo di Forza
Italia. Bruscoloni, terrorizzato, portò Ludwig e Franziskus nel suo studio, dove dette ai due uomini la
nuova combinazione della cassaforte. I due agenti del KGB, presero i documenti e li misero in una borsa.
Dal parco arrivò il segnale di Wolf. La guardia era sistemata. Franz K dette allora l’ordine di portare
in giardino i cospiratori, mentre la squadra di Wolf, stava armeggiando fra i rami degli alberi con
delle corde. Gianfino Gianfinoglio, perduta la sua boria e il suo aplomb british si gettò ai piedi degli uomini
della Compagnia e lacrimando, quasi fosse davanti al Muro del Pianto, disse loro che avrebbe svelato
tutti i misteri della cospirazione se solo lo avessero lasciato in vita. «Dicci chi è Aspide!» chiese in
tono perentorio Max. Il capo dell’Arca dell’Alleanza Nazionale, sbiancò e iniziò a tremare: «Non posso
rivelarlo… Non posso…»
«Se ci dirai chi è, non ti torceremo un capello e non t’impiccheremo…» promise Ludwig. L’uomo fece il
nome e il cognome di Aspide. Gli uomini della Compagnia si guardarono sbalorditi. «Troverete le prove
di quanto vi ho detto nella tasca interna della mia giacca.» Ludwig frugò e trovò una lettera, che
mostrò a Franz K . Gianfinoglio non aveva mentito. «E ora mantenete la promessa…» «Certo!» rispose Ludwig.
«Non ti torceremo un capello e non ti impiccheremo.»
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Un colpo netto della sciabola di Ludwig, fece rotolare
la testa del Capo dell’Arca dell’Alleanza Nazionale di alcuni metri.
«Le promesse le manteniamo sempre…» gli uomini di Franz K e Wolf risero di gusto.
Poi iniziarono le esecuzioni. Trenta forche erano state preparate sui rami di un’enorme quercia.
Calderolo piangeva e si disperava come un bambino. Bruscoloni grazie alle sue conoscenze a Vienna,
arrestato, fu spedito allo Spielberg. I suoi beni furono tutti sequestrati.
Altri invocarono Satana, Astaroth e tutti gli altri demoni.
Poco dopo una trentina di corpi penzolarono tragicamente nel parco della villa.
«Ora andiamo a sistemare quanti più rivoluzionari è possibile,» disse Franz K indicando la borsa con le
liste.
Gli uomini del KGB salirono a cavallo e si diressero verso Milano.
Nei giorni che seguirono, la mattina, lungo le strade della capitale del Lombardo-Veneto, i netturbini
raccolsero decine di corpi di “patriotti” misteriosamente deceduti. Qualcuno parlò di uomini vestiti
di nero che arrivavano all’improvviso di notte nelle case, uccidevano e gettavano i cadaveri dalle
finestre, fuggendo poi nell’oscurità. Un risultato la Compagnia l’aveva raggiunto.
Milano non insorse. Probabilmente per la misteriosa morìa di cospiratori.
La guerra intanto procedeva male. Nonostante il valore dell’Imperial Regio Esercito, la superiorità
franco-piemontese era schiacciante e nonostante la
sostanziale vittoria di Solferino, l’esercito austroungarico dovette ritirarsi nel Quadrilatero.
La Compagnia di Franz K, con 200 cavalieri irregolari,in massima parte veneti e trentini
compì ardite incursioni alle spalle degli invasori.
Famosa rimase la distruzione di una colonna di volontari garibaldini di alcuni centri sociali
piemontesi nei pressi del Lago di Garda. Dei 400 rivoluzionari, se ne salvò solo uno, che
poi, per grazia ricevuta entrò in un convento di frati trappisti.
Qualche giorno dopo, l’Imperatore firmò a Villafranca, l’armistizio con Napoleone III. La Lombardia,
con un plebiscito truffa, fu annessa al Piemonte.
Nella villa di Ercore, un battaglione di carabinieri a cavallo messosi alla ricerca di Bruscoloni, che re
Vittorio Emanuele II voleva decorare, trovò i corpi dei trenta cospiratori impiccati. Il Re, ordinò che sul
luogo fosse innalzata una piramide tronca con dentro
le ossa di quelli che in seguito furono chiamati pomposamente: “I Martiri di Ercore”.
Durante la battaglia di Solferino accadde un fatto degno di essere riportato. Nebbius dopo aver tradito
i compagni, in preda ad un irrefrenabile rimorso rubò alla Compagnia un cavallo. Fu visto galoppare sui
luoghi dove infuriava la battaglia. Impadronitosi di una lancia con uno
stendardo con l’aquila bicipite e di una sciabola si
gettò contro le linee francesi.
L’Imperatore e i suoi ufficiali, dall’alto di una collina osservarono la cavalcata solitaria.
Nebbius arrivò come una furia su una compagnia di fucilieri senegalesi e marocchini, colpendone uno.
Poi fu sommerso dalle truppe coloniali e ucciso.
Cadde con il suo cavallo con la sciabola in mano e il viso rivolto al sole.
Nebbius si era riscattato
Trecento
Agli inizi del 1860, arrivò sul tavolo del colonnello Nowotny un dispaccio segreto da Torino.
Era Halexandra che lo informava intorno a preparativi di sbarco in Sicilia da parte del terrorista
internazionale e pluriomicida Garibaldi.
Lo sbarco sarebbe avvenuto di lì a tre mesi, sotto l’ombrello protettivo della flotta inglese
del Mediterraneo.
Il colonnello Nowotny convocò l’amico e fidatissimo attachè militare all’ambasciata del Regno delle
Due Sicilie, conte Uqbar.
«Caro Conte, ho brutte notizie per voi. Garibaldi con il sostegno piemontese e dell’Inghilterra,
sbarcherà, presumibilmente nel mese maggio, in Sicilia.
Pare che sarà un’ennesima esportazione di democrazia… Le chiamano così le loro imprese piratesche…»
Il Conte, rispose che anche a Napoli erano a conoscenza di piani di invasione, non avendo però
notizie sui tempi. Si lamentò poi che l’esercito borbonico, come la Marina, era pesantemente infiltrata
dai frammassoni, e temeva, quindi, la vittoria dei settari.
Nowotny lo convinse a non cedere al fatalismo, ma a combattere. Lo invitò a costituire delle squadre
segrete, fedelissime al Re, che colpissero nell’ombra i settari.
«Non c’è peggior cosa per un settario che trama nell’ombra che quella di essere colpito nell’ombra…»
disse Nowotny, sorridendo.
E come appoggio alla sua tesi, portò l’esempio della Compagnia Nera, che aveva annichilito, l’anno
precedente, la rete settaria nel Lombardo-Veneto. «Se volete il nostro appoggio, la 17ª Compagnia è
a vostra disposizione…»
Il Conte Uqbar, solleticato da quella proposta, disse che ci avrebbe pensato e che avrebbe contattato
alcuni ufficiali fedelissimi alla monarchia. Nowotny, lesse a Uqbar anche un dispaccio segretissimo inviato
da Halexandra da Torino.
Si parlava del Generale Landi, comandante dell’Esercito Borbonico in Sicilia come di un fidato
“fratello” che avrebbe opposta una tenue resistenza agli invasori, ritirandosi dopo una scaramuccia e
lasciando la Sicilia Occidentale nelle mani dei garibaldesi e dei mafiosi. Uqbar, lasciò Nowotny, convinto
che l’unica cosa da fare era quella che il colonnello del KGB gli aveva
consigliato.
«Ai primi di Aprile,» disse il nobile duosiciliano, al capo del KGB nel secondo colloquio che ebbero,
«ritornerò in patria. Andrò in Sicilia, dove mio cugino, il barone Akritas, comandante di un Battaglione
di Dragoni Reali, mi attende. Colonnello, mandatemi anche la vostra Compagnia Nera. Sotto copertura,
s’intende. Fate passare i vostri uomini come commercianti, turisti, archeologi, o quello che diavolo volete.
Ma li voglio accanto a me.»
«Sarà fatto. Ho anche il benestare dell’Imperato- re. È molto preoccupato per questa azione piratesca
che metterà in forse gli equilibri nel Mediterraneo a favore dell’Inghilterra.»
Il 4 maggio 1860, da Torino Halexandra inviò un dispaccio in codice: “La merce parte stanotte!”
Era il segnale che Garibaldi e i mille mercenari al servizio della Rivoluzione mondialista, sarebbero
partiti.
In Sicilia intanto, da una settimana, la 17ª Compagnia, forte di cento uomini, era stata ospitata in
alcune masserie del Duca di Palermo, nelle campagne del trapanese.
L’11 maggio, furono raggiunti dal battaglione dei Dragoni Reali di Akritas e Uqbar, che all’insaputa
del generale Landi, che aveva loro ordinato di non uscire dagli alloggiamenti, avevano abbandonato le
loro caserme e si erano diretti verso Marsala, in gran segreto, marciando di notte.
Lo stesso giorno i Mille di Garibaldi sbarcarono a Marsala, protetti dalla flotta inglese.
Le formazioni di Uqbar, Akritas e Franz K seguirono la marcia dei rivoluzionari, tenendosi a distanza
e controllando con pattuglie veloci tutti i movimenti degli invasori. Il 15, ci fu il primo scontro con i
borbonici. I dragoni e i cavalieri della Compagnia seguirono
lo scontro al riparo di un bosco. Osservarono come il generale Landi avesse opposto una debole difesa e
poi si fosse ritirato precipitosamente senza alcuna ragione.
«Traditore, fetuso!» sibilò Akritas.
«Tutti a cavallo!» ordinò il conte Uqbar.
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13ª Ed Ultima Puntata
Duecento Dragoni nelle loro candide divise bianche salirono a cavallo, seguiti dai cavalieri della 17ª Compagnia Nera degli Ussari della Morte, sui cui elmi neri e d’argento, spiccava il teschio con le tibie incrociate. Nella vallata i garibaldesi al suono di tamburi e bonghi ballavano, cantavano e bevevano alla “vittoria” ubriacandosi e fumando un’erba eccitante
di provenienza centro-americana chiamata mariajuana, in compagnia di numerosi picciotti. Altri
spogliavano dei preziosi i soldati borbonici morti.
Garibaldi e i suoi sodali, in una tenda stavano compiendo sacrifici propiziatori e di ringraziamento a Satana.
La carica
In quell’istante, un garibaldino, con l’udito particolarmente fine,alzò gli occhi al cielo e disse: «Compagni,
ascoltate…
Non sentite un rombo?» Alcuni guardarono il cielo sgombro da nuvole.
«Sì è un tuono lontano che annuncia la tempesta… Forse è la flotta borbonica che spara qualche colpo per salvare la faccia ahahahah!» disse un picciotto.
Un altro ancora, con una grossa cicatrice che gli attraversava tutto il volto, si girò verso la collina, lasciando cadere il dito che aveva appena tagliato ad un ufficiale borbonico ucciso per prendergli la fede nuziale, livido in volto urlò:
«Questo non è il tuono che annuncia la tempesta! Questa è la TEMPESTA!» indicando la collina al loro fianco.
Trecento Dragoni e Ussari della Morte stavano scendendo come una valanga inarrestabile verso la vallata. Le lame delle sciabole e le punte delle lance mandavano sinistri bagliori. La terra percossa iniziò a tremare sotto i piedi dei garibaldesi: i tamburi e i bonghi tacquero.
“Per l’Imperatore e per il Re! Nessuna pietà per i nemici di Dio!» urlò Uqbar.
La carica di cavalleria sorprese i garibaldesi prima che potessero opporre una benché minima resistenza. A decine caddero colpiti dalle lance, dalle sciabole e dagli zoccoli dei cavalli.
Fu subito strage. In poco tempo i terroristi superstiti in camicia rossa, si arresero. Furono catturati anche Garibaldi e i suoi accoliti: Bixio, La Masa, Pilo, la suffragetta inglese Mario ed altri pregiudicati internazionali, che furono portati in una masseria ed interrogati da Ludwig, Half e Uqbar.
Il Capobanda confessò di essere stato inviato e finanziato dalla frammassoneria. Nella sua tenda furono trovati, oltre agli oggetti usati per le cerimonie e i rituali satanici, documenti compromettenti che accusavano il governo inglese quale mandante e sostenitore dell’invasione.
Terminati gli interrogatori, i prigionieri furono riportati sul campo di battaglia, dove la Compagnia e i Dragoni avevano terminato le esecuzioni dei garibaldesi e dei mafiosi prigionieri.
Garibaldi e i suoi complici, furono impiccati ad una acacia. L’Eroe dei Due Mondi, prima di essere appeso, bestemmiò e invocò il demonio. Un forte odore di zolfo si sparse intorno all’albero in cui fu giustiziato.
La sera sul campo giacevano i corpi di 1215 camicie rosse e picciotti.
La mattina all’alba, Franz K suggerì di raggiungere
l’esercito borbonico del generale Landi, e con i documenti presi nella tenda di Garibaldi, accusarlo di alto tradimento e arrestarlo insieme ai suoi “fratelli”.
«E voi cosa farete?» chiese Uqbar a Franz K.
«Faremo una capatina a Marsala…»
Gli uomini si divisero. Franz K e i suoi, al galoppo si diressero verso la cittadina.
Trovarono nel forte che dominava il mare una trentina di mafiosi e garibaldesi, che terrorizzati si arresero senza sparare un colpo. Furono tutti fucilati nel cortile.
Franz K e i suoi, saliti sugli spalti, osservarono le tre navi da guerra inglesi alla fonda nella rada.
«Sono tranquilli. Si godono il sole…» disse Markus «Ai cannoni!» ordinò Franz K.
Franziskus, Klaus e Lukas erano dei provetti artiglieri. I dodici cannoni furono preparati. Quattro per nave.
La prima salva colpì in pieno le navi. La seconda provocò degli incendi. La terza le colò a picco.
Fu poi la volta di due legni piemontesi. Colpiti, poco dopo scomparvero, in fiamme, fra i flutti.
Uqbar, intanto, raggiunto l’esercito borbonico, in nome del Re arrestò, come da lista, 23 ufficiali e dopo averli sommariamente giudicati, li degradò e li fucilò.
Il giorno dopo i dispacci stampa di tutto il mondo annunciarono il fallimento dell’impresa dei Mille e l’esecuzione di Garibaldi.
Si parlò anche dell’affondamento delle tre navi inglesi. Si dette la colpa ai garibaldesi del forte,
dicendo che avevano scambiato le tre navi, per navi
borboniche. All’ambasciatore inglese a Napoli furono mostrati i documenti presi a Garibaldi e che accusavano l’Inghilterra. Il governo di Sua Maestà, dovette far buon viso a cattiva sorte e ingoiare il rospo.
Nei mesi successivi, Uqbar nominato ministro per la sicurezza del Regno delle Due Sicilie, liquidò oltre 5000 settari.
Il Regno era salvo. La Rivoluzione, fermata. La flotta inglese, che aveva sempre trovato buona accoglienza nel porto di Napoli e di Palermo, dovette sloggiare. Al suo posto arrivò una flotta austro-russa,
che fu accolta con manifestazioni di giubilo popolare.
La Compagnia fece ritorno in Austria dove gli uomini del Kaiser Geheime Buro, continuarono, nell’ombra a vigilare sulla sicurezza dell’Impero.
Occhio al titolo del capitolo 5!
Krampus fà le pentole ma non i coperchi…
Alfio sei grande!!
Grazie Male Bolge. Bruscoloni? Ma no…
Molto meglio e più facilmente reperibile nel blog questo tipo di impaginazione
Se si entra nel blog dalla pagina principale non è facile trovare le varie sottopagine
Comunque sempre grande Alfio , grazie
😉
Bella lettura!
Grazie Paola.
… bellissimo …
un saluto
Piero
Grazie Piero Valleregia.
Ottimo racconto