LA PARTENZA
Il peschereccio si avvicinò alla banchina del porticciolo. Sulla spiaggia brillava un falò: era quello dei documenti che venivano distrutti. Era buio e i falsi migranti iniziarono a salire a bordo. Dopo circa un’ora il comandante fece manovra e si diresse verso il largo. Per fare apparire i profughi stremati e infreddoliti, il giorno si bagnarono a vicenda con acqua di mare; le donne si coprirono la testa con il velo e tutti si spalmarono un olio abbronzante e tingente che li avrebbe fatti sembrare più scuri di pelle; gli uomini si erano fatti crescere la barba. Due giorni dopo il natante virò ad est, entrando nel corridoio navale dei migranti. A quel punto il comandante lanciò un SOS,
“ Qui peschereccio ‘Pinguino‘! Ho bisogno di aiuto! Ho raccolto oltre cento migranti!Ci sono molte donne e bambini. Accorrete presto! ” Il Comandante riferì la propria posizione.
“Arriviamo!” fu la risposta.
Giovanni con un megafono dette le ultime raccomandazioni ai suoi compagni di avventura : “ parlate il meno possibile! Esprimetevi in italo-marocchinese; imparate a memoria quelle decine di parole di arabo scritte sulle fotocopie! Capito?! Poi distruggetele e gettatele in mare“. Era passato un quarto d’ora dal SOS quando all’orizzonte apparve un elicottero della Marina Militare. Il veivolo sorvolò l’imbarcazione. Un’ora dopo la nave Diciotti, arrivata sul posto alla massima velocità, abbordò il peschereccio. Una scala scese dalla fiancata. Il mare era calmissimo e il trasbordo avvenne senza problemi. I “migranti” furono accolti con premura e a qualcuno dei naufraghi parve perfino con gioia. Furono tutti dissetati e dovettero mangiare per forza piatti di pastasciutta efinanco due fette di dolce a testa.
Il Comandante volle parlare con i falsi rifugiati.
“Qualcuno parla italiano?”
“Io!” rispose Giovanni alzandosi in piedi.
“Da dove venite”
“chi viene Maroccu, Tunisi, anche de Libia e Egittu, de Siria, capo. Sgabbiamo da guerre, fame, e dittatori…rais…”
“Dì ai tuoi amici che vi portiamo a Lampedusa; da lì verrete portati in tutta Italia. Auguro un buon viaggio a tutti voi.”
“Grassie capo. Ora io dire a tutti miei gombagni quello che tu hai detto!”
Un altro ufficiale (medico) si avvicinò a Giovanni.
“Avete documenti?”
“No, noi avere perduti in mare…”
“c’è qualche malato con voi?”
“No…no…noi tutti stare bene, tutti sani…”
“Ok!”
L’ufficiale si allontanò fischiettando.
Giunti sull’isola iniziarono le procedure di sbarco, decine di volontarie e volontari delle varie associazioni religiose e laiche si precipitarono loro addosso portando, caramelle cioccolatini, frutta, dolciumi. I “migranti” dovettero ingozzarsi per farli felici. Al porto arrivò, insieme ad una delegazione di “ragazzi” dei centri sociali, la sindachessa di Lampedusa, che dette loro il benvenuto.
“Il vostro arrivo, o fratelli , ci riempie il cuore di gioia; voi arrivate qui da noi come una ventata di aria fresca. Voi siete i benvenuti in questa nostra isola: chiedete e vi sarà dato!”
“Grassie per tue bone parole i bona accogliensa!”
“ L’Italia è ora la vostra terra!” disse la sindachessa con gli occhi lucidi dalla commozione.
“Grassie! Grassie!” risposero in coro i falsi migranti.
“Ora venite dietro di me. La sistemazione è provvisoria, ma sul continente sarete trattati con tutti i riguardi!”
Giovanni-Ahmed si mise dietro la donna e fingendo di inciampare le rovinò addosso. La donna spinta, violentemente, cadde a terra , sbattendo il suo enorme naso aquilino contro la pietra. Fiotti di sangue le inondarono il volto e il vestito.
“Escusa non fatto aposta…disgrassia…escusame seniora…”
La donna si rialzò aiutata da alcuni suoi scagnozzi e rivolta al falso migrante, con il volto insanguinato, sforzandosi di sorridere disse:
“Fratello, tranquillo, non è niente. Non è colpa tua. La colpa è mia che mi sono messa davanti a te…”
“Grassie seniora. Stata disgrassia…”.
I “profughi” furono messi in una struttura su una collinetta. Restarono, accuditi dai volontari, ma nonostante la premura di questi ultimi, nessuno parlò di partenze.